Non esiste transizione ecologica senza investimenti nelle nuove tecnologie. La conferma arriva anche dall’AIE (Agenzia Internazionale per l’Energia) e dall’Irena (Agenzia internazionale per le energie rinnovabili). La prima stima almeno a 90 miliardi di dollari investiti entro il 2030 l’impegno economico necessario a sostenere il settore della Ricerca&Sviluppo nell’ambito delle tecnologie necessarie a supportare la transizione. La seconda invece stima che tra il 2021 e il 2050 sarà necessario reindirizzare dai combustibili fossili alle tecnologie in questione investimenti per un totale di almeno 24 trilioni di dollari.

Com’è noto, a livello di obiettivi europei le tappe della decarbonizzazione sono due: il -55% di emissioni entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990) e la carbon neutrality entro il 2050. Al primo target si giungerà attraversando quello che in UE è stato definito “decennio digitale” e che sarà popolato di tecnologie di cui abbiamo già un’idea piuttosto precisa. L’abbattimento del restante 50% di emissioni, invece, dipenderà, secondo l’AIE, quasi esclusivamente dall’implementazione di nuove tecnologie che oggi non esistono ancora oppure sono in fase di sperimentazione. Ma quali sono queste tecnologie?

 

I sistemi di accumulo avanzati

Il sistema di produzione, distribuzione e utilizzo dell’energia sta cambiando rapidamente all’insegna di una sempre maggiore decentralizzazione. Inoltre, sta facendo il suo ingresso anche in questo settore la digitalizzazione, che trasforma le reti in smart grids, in grado di integrare diverse fonti energetiche. La transizione energetica verso fonti rinnovabili ha però bisogno ancora di un tassello fondamentale per stabilizzare la fornitura di energia bilanciando domanda e offerta: sistemi avanzati di accumulo, che migliorino la gestione e i costi energetici.

I sistemi di accumulo o accumulatori di energia sono dispositivi che immagazzinano e rilasciano energia secondo necessità. Alcuni accumulano lentamente energia per rilasciarla a velocità elevata, altri viceversa e altri ancora accumulano e rilasciano energia a una velocità simile. Alcuni inoltre sono fatti per conservare energia a breve termine, altri invece a lungo termine. È naturalmente possibile accumulare diverse tipologie di energia, accettata e consegnata nella stessa forma oppure convertita in entrata e in uscita. Per massimizzare l’utilità dei sistemi di accumulo è importante produrre dispositivi che abbiano un rapporto peso/volume/capacità tale da permettere una buona autonomia e che siano costruiti con materiali non eccessivamente inquinanti.

 

La cattura dell’anidride carbonica

Mentre ci occupiamo di trovare soluzioni che diminuiscano le emissioni di anidride carbonica prodotte dalle attività umane, che ne è delle emissioni inevitabili che rischiano di mettere a repentaglio il raggiungimento degli obiettivi climatici? L’IPCC ha sottolineato che, se vogliamo sottostare all’accordo di Parigi e limitare i futuri aumenti della temperatura a 1,5°C, dobbiamo fare di più che aumentare gli sforzi per ridurre le emissioni: dobbiamo anche implementare tecnologie per rimuovere il carbonio dall’atmosfera.

La CCS (Carbon capture and storage, cioè la cattura e stoccaggio del carbonio) è una di queste tecnologie e può quindi svolgere un ruolo importante nell’affrontare il riscaldamento globale. Si tratta infatti del processo di sequestro dell’anidride carbonica prima che entri nell’atmosfera, cui segue il suo trasporto verso un luogo di conservazione permanente, per secoli o millenni. In genere la CO2 viene catturata nell’ambito di grandi impianti, centrali o attività di industria pesante, viene separata dagli altri gas prodotti, viene compressa per essere trasportata tramite condutture e infine è immagazzinata al sicuro sottoterra. Ma l’anidride carbonica catturata non deve per forza essere relegata nei meandri della terra: potrebbe essere anche riutilizzata. È la missione delle tecnologie CCU (Carbon Capture and Utilization).

La sfida di oggi è trovare un modo più semplice ed economico per estrarre la CO2 direttamente dall’aria. La sua molecola è infatti molto stabile e richiede perciò molta energia per essere scissa da altri gas. Inoltre, se è vero che la sua attuale concentrazione nell’aria – 420 parti per milione – comincia a essere dannosa per il clima, è tuttavia ancora troppo diluita per permettere un’estrazione agevole. Il segreto della cattura a basso dispendio energetico potrebbe celarsi nei liquidi ionici, nel metanolo prodotto a partire dall’idrogeno oppure in sistemi elettrochimici. Anche se in realtà una tecnologia già perfetta per la cattura di CO2 e la produzione di ossigeno esisterebbe già da millenni: gli alberi.

 

L’idrogeno pulito

L’idrogeno, l’elemento più abbondante in natura, è già utilizzato per produrre fertilizzanti e ammoniaca e per raffinare il petrolio, ma è oggi principalmente prodotto da combustibili fossili tramite reforming del gas naturale o gassificazione del carbone, senza utilizzare la CCS. Quello prodotto in tal modo è definito idrogeno grigio, ma esistono già altri metodi di produzione più sostenibili. Uno è l’elettrolisi alimentata con fonti rinnovabili, che dà origine all’“idrogeno verde”. Un altro è l’abbinamento ai metodi di produzione tradizionali della CCS, per diminuire le emissioni del processo, dando origine a un “idrogeno blu”. Ma perché produrre idrogeno pulito è così importante?

L’idrogeno contiene il triplo dell’energia dei combustibili fossili a parità di peso ed è privo di emissioni di carbonio. Nell’ambito della transizione ecologica, potrebbe perciò avere le applicazioni più disparate. Tra le più promettenti ci sono le celle a idrogeno per generare elettricità, alimentando il trasporto terrestre ma anche aereo e marittimo. L’idrogeno è poi ideale per immagazzinare energia prodotta da fonti rinnovabili, funzionando come un vero e proprio sistema di accumulo. Potrebbe essere utilizzato anche direttamente come combustibile, per esempio nelle caldaie a idrogeno, oppure in miscelazione con gas naturale per il riscaldamento industriale e domestico.