Se c’è una cosa che ormai diamo per scontata nella nostra quotidianità è la disponibilità di acqua corrente, con cui lavarci, cucinare, bere, bagnare le piante e non solo. Tanto che basta una breve interruzione improvvisa del servizio di erogazione per gettarci nel panico. Eppure circa 4 miliardi di persone nel mondo vivono per almeno un mese all’anno in condizioni di grave scarsità idrica. Un numero che rischia di lievitare nei prossimi anni, se non si prenderanno provvedimenti in merito. Tra i numerosi interventi richiesti per arginare il problema in Italia c’è sicuramente la digitalizzazione del sistema idrico, sempre più obsoleto e inefficiente.
L’acqua è fra l’altro protagonista di due obiettivi dell’Agenda 2030, a testimonianza della sua importanza chiave per il benessere del pianeta e delle persone: l’obiettivo 14, «Conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile», e l’obiettivo 6, «Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico sanitarie», due traguardi strettamente correlati. Nell’era della digital transformation – non fine a sé stessa, ma utile al miglioramento delle condizioni di vita delle persone –, la digitalizzazione del sistema idrico è un’assoluta priorità.
Lo stato del sistema idrico italiano
Siamo ormai tutti d’accordo sul fatto che lo spreco delle materie prime sia tra i comportamenti meno sostenibili che si possano immaginare. Come mai allora il 47,6% dell’acqua prelevata e immessa nella rete idrica italiana viene sprecata? Mentre si invitano i cittadini a limitare l’utilizzo dell’acqua in casa allo stretto necessario, bisognerebbe infatti lavorare per diminuire gli sprechi macroscopici direttamente connessi all’obsolescenza del sistema idrico nazionale. Sprechi che pesano sempre di più in uno scenario in cui l’acqua a disposizione è già di per sé sempre più scarsa a causa del cambiamento climatico.
I dati, emersi dal report Istat relativo agli anni 2018-2020, non sono tutti negativi. Possiamo per esempio essere soddisfatti del fatto che 9 famiglie su 10 siano allacciate alla rete di distribuzione nazionale e si dichiarino molto o abbastanza soddisfatte del servizio. Oppure che la percentuale di chi non si fida a bere l’acqua del rubinetto sia scesa al 28,4% (nel 2002 era al 40,1%), anche se l’Italia è ancora prima in Europa per consumo pro capite di acqua in bottiglia (200 litri a persona contro i 118 della media UE). O ancora che la percentuale di persone che lamentano irregolarità nell’erogazione sia scesa all’8,8% (nel 2003 era al 17%).
Ma, come spesso accade in Italia, c’è una grande disomogeneità di numeri in base alla regione di riferimento. Nel mezzogiorno, infatti, le prospettive non sono incoraggianti, con regioni che arrivano a sprecare il 50% dell’acqua prelevata e alti livelli di insoddisfazione, con i valori più alti registrati in Sardegna (44,5%), Basilicata (44,3%), Calabria (42,3%) e Abruzzo (40,7%). Oltre 2 milioni di famiglie, la maggior parte delle quali concentrate nel centro-sud, lamenta poi irregolarità nel servizio. E la situazione è particolarmente grave sulle isole, che devono anche far fronte a un’accelerazione della desertificazione e alla forte diminuzione delle precipitazioni.
Come migliorare la situazione italiana in vista del raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030? Con interventi su più fronti, tra i quali spicca la digitalizzazione del sistema idrico, che rinnovi la rete e le modalità di distribuzione, appianando il più possibile le differenze sul territorio nazionale.
La digitalizzazione del sistema idrico
Il 42% dell’acqua in Italia viene dispersa lungo il solo sistema di distribuzione, un dato impressionante considerato che la media europea è del 23%. A rendere possibile una tale inefficienza è lo stato delle tubature della rete nazionale, il 25% delle quali ha più di 50 anni e il 60% delle quali ha più di 30 anni. Eppure il nostro paese è al terzultimo posto in Europa per investimenti nel settore, con una spesa annua di 40 euro per abitante contro una media UE di 100 euro.
Il PNRR mira ad aggiustare, letteralmente, le falle della rete, destinando al suo efficientamento del 4,38 miliardi di euro, una buona parte dei quali dovrà essere utilizzata per la digitalizzazione del sistema idrico. In un’epoca in cui l’acqua è sempre più scarsa e dalla disponibilità imprevedibile, la modernizzazione delle infrastrutture è infatti sia un modo per aumentare la resilienza del sistema e la sua capacità di convivere con il cambiamento climatico sia un modo per contribuire all’inversione di quest’ultimo, migliorando la sostenibilità del settore.
Digitalizzare la rete idrica significa utilizzare sensori e software di raccolta e analisi dei dati per efficientare i processi e i componenti e improntarli al riuso, riducendone l’impronta ecologica, per offrire agli operatori del settore nuove modalità di gestione e intervento, per monitorare le performance e operare una manutenzione predittiva, che individui i potenziali guasti ancora prima che si verifichino. In ottica di abbattimento dei costi e delle emissioni, la digitalizzazione del sistema idrico dovrà però basarsi inevitabilmente sull’utilizzo di elettricità pulita per l’alimentazione delle pompe, che rappresentano il 90% dei consumi della rete di distribuzione, e su una connettività ad alte prestazioni.